La sede

La sede

Vieni a trovarci

 

Banca Centropadana per l'arte

Nel corso della sua storia Banca Centropadana ha commissionato o sponsorizzato l’esecuzione e il restauro di numerose opere d’arte, oggi in parte esposte presso le sue sedi e le sue filiali: uno dei molti modi per rendere tangibile il filo che la unisce al proprio territorio e alle proprie comunità, di cui persegue la crescita non solo economica ma anche sociale e culturale.

Fetonte

I lavori di restauro eseguiti presso la sede di Banca Centropadana hanno consentito di portare alla luce diversi dipinti murali, spesso sottratti alla vista a causa di scialbature o controsoffittature.

Tra queste, la raffigurazione, sull’alto soffitto del monumentale scalone del palazzo, della Caduta di Fetonte, posta all’interno di una stretta e lunga cornice rettangolare in stucco. Il soggetto è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio. Fetonte, figlio di Apollo, un giorno chiede di guidare il carro del Sole. Il padre cerca di dissuaderlo, ma Fetonte insiste ed il dio del Sole è costretto ad acconsentire. Tuttavia, poco dopo la partenza, il figlio perde il controllo del carro e causa incendi e devastazioni in cielo e sulla terra, tanto da costringere Giove a scagliare contro di lui un fulmine per fermarlo. Lo sventurato precipita nel fiume Eridano, identificato con il Po. Si tratta dunque di un mito fortemente legato al nostro territorio.
La tecnica adottata è quella dei dipinti murali a secco realizzati su una base a fresco. Colpisce l’impianto scenografico della composizione; l’abilità dei pittori pare volta all’effetto complessivo.

Le tele dei paratici

Si tratta di una serie di tele ascrivibili allo stesso contesto cronologico e sociale, commissionate dai paratici della città intorno alla metà del XVII secolo. I paratici, dette talora anche università, erano corporazioni di mestieri presenti nelle città italiane ed europee fin dal medioevo, così chiamate per l’abitudine dei propri membri di mostrarsi nelle cerimonie cittadine in parata, sotto il proprio vessillo; commissionavano opere raffiguranti i simboli tradizionali delle loro professioni ed i loro santi protettori.

Sant’Uguzzone (Lucio) che distribuisce cibo ai poveri

Il quadro, commissionato dal paratico dei formaggiai, è opera di Girolamo Quaresmi il cui nome figura sul retro della tela, riportato alla luce proprio in occasione del recente restauro del dipinto. L’opera è sicuramente stata ultimata prima dell’11 agosto 1642, data di morte dell’artista.
La scena rappresentata dal pittore si svolge tutta nella bottega del formaggiaio, dove Lucio distribuisce ai poveri la ricotta ricavata dal siero avanzato dalla produzione dei formaggi. Lo protegge un angelo che reca la palma del martirio: i piccoli doni causarono infatti il licenziamento del pastore, accusato di furto, e quando trovò un nuovo lavoro presso un padrone più tollerante, le ricchezze di questi aumentarono mentre quelle del precedente iniziarono a diminuire. Da lì la vendetta del vecchio padrone, che lo uccise. Alle sue spalle si osservano vari lavoranti, mentre al centro Lucio sfama una piccola folla di uomini, donne e bambini, evidentemente poveri. Appena fuori dalla porta, a sinistra, si vedono le pecore al pascolo. Colpiscono dell’opera le accensioni cromatiche che hanno il loro fulcro nelle vesti azzurre e rosa dell’angelo e la luce che scolpisce le forme, indugiando in particolare sulle potenti muscolature.

Sant’Omobono

Il culto per il sarto Omobono Tucenghi, originario di Cremona dove visse ed operò nel XII secolo, si diffuse dopo la canonizzazione del 1199 in varie città e paesi d’Italia.
La scena principale è ambientata nella bottega del sarto, con poveri ignudi che vengono per affidarsi alla sua generosità. Due giovani aiutanti sono intenti al lavoro di confezionamento dei vestiti, un angelo in alto reca una veste a simboleggiare l’intervento divino e un cagnolino completa la composizione in basso. Tipica dell’iconografia del santo è l’apertura di sfondo sulle strade della città, mentre non è possibile stabilire chi sia il santo raffigurato a sinistra del dipinto (il fatto che l’angelo che lo scorta in cielo rechi in mano mitria e pastorale fa pensare che si tratti di un vescovo oppure di un abate).

San Giuseppe falegname (o Sacra Famiglia)

Probabile opera di un pittore locale ancora sconosciuto, attivo verso la metà del Seicento, è il quadro del paratico dei falegnami. Illustra un momento di tranquillità famigliare, con la Madonna che osserva intenerita il Bambino che distrae Giuseppe dal suo lavoro, con angioletti che svolazzano nella stanza giocando con attrezzi, libri e stoffe. Notevole la profusione di attrezzi da falegname sul tavolo da lavoro, appesi, portati in volo o abbandonati sul pavimento, descritti con notevole dettaglio a ricordare la quotidianità del lavoro di chi al paratico apparteneva: vari tipi di pialle, la sega, il martello, il compasso, una rasiera, un cestino appeso da cui spuntano una tenaglia, l’impugnatura di un succhiello e forse un punteruolo. La scena è ambientata in un interno che si apre sul paesaggio lontano, con una torre, un fiume e un ponte. Sullo sfondo, in alto, ricompare la Sacra Famiglia, colta nel momento in cui, guidata da un angelo in cielo, attraversa il ponte per abbandonare la città: al suo passaggio, una statua crolla dal suo piedistallo e rovina a terra frantumandosi. L’episodio, che si riferisce a un momento del soggiorno in Egitto o del viaggio di ritorno, è narrato solo da alcuni Vangeli apocrifi. Secondo un’antica tradizione proprio il paratico dei falegnami organizzava una pubblica rappresentazione della fuga in Egitto popolarmente nota come “Processione delle balie o delle fasce”.

Martirio di Sant’Eustachio

Sant’Eustachio è attestato come protettore di merciai e battilana almeno dal 1562. Tratto distintivo di questo dipinto è l’assenza di qualunque riferimento esplicito alla professione o ai suoi attrezzi. La narrazione pittorica delle vicende del santo comprende due diversi episodi e si svolge su due piani. Sullo sfondo, a destra, è raffigurato il generale romano Eustachio inginocchiato nella boscaglia: davanti a lui si erge maestosamente un cervo che regge tra le corna la croce dalla quale il Cristo gli parla. Tutto il primo piano narra invece il momento prima della fase finale del martirio. A sinistra, sul trono sopraelevato, l’imperatore Adriano assiste alla scena: un carnefice addita il bue di bronzo arroventato nel quale Eustachio e la famiglia saranno introdotti, mentre uomini in arme sorvegliano la scena. Al centro, Teopista, la moglie del santo, rivolge un’ultima accorata preghiera al cielo, circondata dai figli. Non sono finora stati reperiti documenti riguardanti questo dipinto o la sua commissione, ma il suo autore può essere identificato, sulla base di confronti stilistici, con Luigi Pellegrino Scaramuccia, detto il Perugino, pittore e scrittore di cose d’arte radicato a Milano fin dal 1650. Questo quadro si distingue per l’elevato livello qualitativo.

Tratto da “Santi & Paratici”, testi di Mario Comincini, Federico Cavalieri, Chiara Canevara, Davide Cesari; progetto grafico e editoriale Bell&Tany Voghera

Ada Negri

La corte d’onore di Banca Centropadana ospita una statua dedicata ad una delle figure più illustri di Lodi: la poetessa Ada Negri.

L’opera di Mauro Ceglie, plasmata in bronzo con patina bicroma dalla Fonderia Artistica Mapelli di Cesate, è un intenso ritratto di un’Ada Negri matura e fiera.

Ceglie, scultore lodigiano conosciuto a livello nazionale, è voluto entrare nella vita dell’artista scrutandone i moti dell’anima: non solo la prima donna a ricevere il titolo di Accademico d’Italia ma la poetessa che, attraverso mille difficoltà, è diventata la voce dell’intimità familiare, un animo complesso che lo scultore ha sintetizzato e trasferito nel vivo della materia.

L’opera di Mauro Ceglie è stata inaugurata il 24 giugno 2016 con un’emozionante cerimonia tra reading e musica alla quale hanno partecipato, tra gli altri, anche il Vescovo di Lodi, Mons. Maurizio Malvestiti, Laura De Mattè, Presidentessa dell’Associazione “Poesia, la Vita - Centro Studi Ada Negri”, e il critico d’arte Tino Gipponi.

Artista spesso poco considerata, Ada Negri ha finalmente ricevuto il giusto riconoscimento con un’opera di grande intensità, collocata in un antico palazzo di Lodi non lontano da quello dei Barni dove, ancora bambina, apriva alle carrozze dei nobili per aiutare la nonna portinaia.

Sfoglia la gallery